3 dicembre 2012

L'Amour di Haneke continua a trionfare nei concorsi europei

La cerimonia finale degli European Film Awards 2012, soprannominati anche gli "Oscar europei", si è tenuta quest'anno a Malta, sabato 1 dicembre. A trionfare è stato Amour di Michael Haneke. 

Già reduce dalla vittoria al 65° Festival di Cannes in cui si è aggiudicato la Palma d'Oro, il film era uscito nelle sale italiane il 25 ottobre con un discreto successo nonostante l'esiguità di sale cinematografiche in cui è stato proiettato.

In occasione di questo ennesimo riconoscimento europeo, ripropongo la mia recensione già pubblicata sul sito della testata Ghigliottina, il 29 ottobre.




Il regista Michael Haneke riporta sul grande schermo due grandissime figure del cinema francese, Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva rispettivamente nel ruolo di Georges ed Anne, due anziani insegnanti di musica in pensione.

Anne viene colpita da un ictus, rimanendo paralizzata e di conseguenza completamente dipendente dal marito, il quale si assume il difficile compito di prendersi cura di lei, in nome del grande amore che li unisce da tutta la vita.

Il film mette in scena l’amore, il modo di viverlo nelle diverse età della vita, la sua trasformazione nel tempo, la sua resistenza o meno agli ostacoli che si incontrano.  In questo caso i due protagonisti sono in età avanzata e vengono messi a dura prova da un evento tragico, che fa affiorare interamente la duplice faccia della stessa medaglia: l’amore e il dolore.

Il dolore di un uomo che vede la propria compagna di vita deperire giorno dopo giorno, vivendo insieme a lei la malattia senza però poter fare nient’altro che continuare a starle vicino, amandola e soffrendo con lei, in una situazione che mina l’anima nel profondo.

A trainare il film, la grande prova recitativa di Trintignant che dopo quasi dieci anni di assenza dai set a seguito della tragica morte della figlia Marie, torna al cinema in quella che si rivela forse una delle sue migliori interpretazioni, un ruolo intenso in cui lo stesso attore sente di riconoscersi appieno per la prima volta.

Un protagonista che fa trasparire tutta la sofferenza nell’amore e viceversa, in questo connubio emotivo potente e coinvolgente, in un film che punta maggiormente sulle sensazioni, rispetto al linguaggio cinematografico vero e proprio.

Ad affiancare i due attori principali, nel ruolo della figlia musicista Eva c’è Isabelle Huppert, qui alla sua terza collaborazione con Haneke dopo La pianista, pluripremiato al Festival di Cannes 2001 e Il tempo dei lupi (2003), presentato sempre a Cannes ma fuori concorso.

Il legame a doppio filo che unisce Haneke a questo festival è divenuto ormai da diversi anni piuttosto stretto e fruttuoso. A partire dal suo debutto cinematografico con Il settimo continente (1989) presentato alla 42ª edizione, passando per i film sopracitati, fino alle sue ultime opere come Niente da nascondere (2005) con cui ha vinto il premio per la miglior regia e Il nastro bianco con cui si è aggiudicato la sua prima Palma d’Oro nel 2009.

Amour è stato un successo di pubblico e di critica che ha messo tutti d’accordo, confermando una predizione che dava il film vincitore già dai primi giorni della kermesse francese. Una storia straziante, descritta con delicatezza da un Haneke spesso tacciato di freddezza nei suoi film, che qui non perde la propria fermezza ma riesce allo stesso tempo a far uscire fuori sensazioni e sentimenti forti e toccanti.






11 settembre 2012

Recensione "Bella addormentata"

Il nuovo film di Marco Bellocchio: amore per la vita, rispetto per la morte


Presentato in anteprima alla 69ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il 5 settembre, ed uscito il giorno dopo nelle sale italiane, Bella addormentata racconta le storie di vari personaggi, le cui vicende si snodano durante gli ultimi sei giorni di vita di Eluana Englaro.

Un senatore di destra (Toni Servillo) deve affrontare una dura scelta, se seguire la propria coscienza o la linea del suo partito, votando per una legge con cui non è d’accordo. Sua figlia Maria (Alba Rohrwacher) manifesta col movimento per la vita davanti alla clinica in cui è ricoverata la Englaro. Due ragazzi, fratelli, manifestano per il fronte laico. Una donna tossicodipendente (Maya Sansa) vuole suicidarsi, ma un giovane medico (Pier Giorgio Bellocchio) cerca di impedirglielo a tutti i costi. Infine, un’attrice famosa (Isabelle Huppert) si affida alla religione e al miracolo per salvare sua figlia da un coma irreversibile.

Come lo stesso Bellocchio ha specificato più volte nelle sue interviste, questo non è un film su Eluana Englaro, ma mostra le vite di alcune persone che si intrecciano direttamente o indirettamente con la vicenda Englaro e la delicata questione dell’eutanasia che il suo caso ha tirato in ballo.

Ancora di più, è un film che analizza concetti importanti come l’amore, la morte, la visione differente su tali argomenti, che varia da persona a persona. Senza mai prendere una posizione o porre un giudizio, quest’opera mostra semplicemente le varie sfaccettature che ogni situazione presenta; e lo fa attraverso individui comuni, nella loro vita di tutti i giorni, o quando si trovano ad affrontare temi particolari di attualità come quello di Eluana, che resta sempre sullo sfondo (in una scena tra il deputato e sua figlia, il televisore acceso alle loro spalle manda in onda il telegiornale che parla della vicenda).

Proprio questo contenuto impegnativo ha suscitato pareri contrastanti sull’intera opera. Polemiche, già presenti durante la lavorazione, hanno comportato addirittura il blocco dei finanziamenti da parte dell’Assessorato Regionale alla Cultura del Friuli-Venezia Giulia.

Il film ha riscosso tuttavia un decisivo successo di pubblico con la bellezza di sedici minuti di applausi a Venezia; anche se alcuni critici hanno manifestato un’opinione diversa, d’accordo soprattutto sull’utilizzo di dialoghi eccessivamente espliciti, che rivelano troppo senza lasciare spazio all’immaginazione dello spettatore.

Un film controcorrente, proiettato in un momento particolare, a pochi giorni di distanza dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini che ha riportato alla ribalta la questione affine dell’accanimento terapeutico, in relazione soprattutto al sempiterno scontro con la mentalità cattolica in uno Stato definito laico.

Due posizioni, quelle religiose e non, da sempre contrastanti in materia di vita e di morte, ma soprattutto di scelta, quando si tratta di raggiungere la propria morte naturale per eutanasia come nel caso di Eluana, o per rifiuto di continuare con trattamenti terapeutici ritenuti inefficaci, secondo la volontà espressa  dal cardinal Martini.

Bella addormentata si è aggiudicato infatti a Venezia il premio Brian assegnato dalla giuria dell’associazione UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), per il modo in cui ha affrontato la questione della scelta individuale sia dal punto di vista spirituale che politico.

L’opera di Bellocchio, che in Italia ha già incassato ben 50.606 euro nel primo giorno, è subito contesa dai festival di tutto il mondo, da Toronto a Londra, Busan, Tokyo, Mosca e Rio.


Pubblicato il 10 settembre 2012 su Ghigliottina.it

4 settembre 2012

Recensione "Il cavaliere oscuro - il ritorno"

Tormento e rinascita di un supereroe “umano”


È uscito il 29 agosto nelle sale italiane l’atteso capitolo conclusivo della saga di Batman con il titolo "Il cavaliere oscuro – il ritorno”, di Christopher Nolan.

Un nuovo “cattivo” terrorizza Gotham City nelle vesti di Bane (Tom Hardy), l’uomo con la maschera. Bruce Wayne (Christian Bale), ritiratosi dalle scene da ormai otto anni, dopo la morte della sua amata Rachel e del procuratore Harvey Dent, si ritrova a dover indossare di nuovo i panni dell’antieroe per eccellenza: Batman.

Con questo lungometraggio sembra chiudersi un ciclo, che riconduce al principio, come a voler riassumere e completare tutta la storia, tramite una narrazione ben strutturata e particolareggiata, in cui tutti i tasselli si inseriscono al loro posto. Riaffiorano elementi del primo capitolo come la Setta delle Ombre e la figura di Ra’s al Ghul, oltre ad una breve apparizione dello “Spaventapasseri” Jonathan Crane.

Vi sono anche alcune novità: l’entrata in scena di Catwoman, ad esempio, interpretata da Anne Hathaway in un costume semplice dal sapore retrò, che richiama quelli di Julie Newmar e Eartha Kitt nella serie televisiva di fine anni 60.

Finalmente anche Robin fa la sua apparizione, nei panni però del solerte detective Blake (Joseph Gordon-Levitt) che solo alla fine rivelerà il suo vero nome, e lascerà trasparire la sua intenzione di portare avanti l’operato di Batman nella salvaguardia della città.

Sì perché Bruce Wayne intende appendere al chiodo le vesti dell’eroe alato, sottolineando uno dei temi portanti di questa storia: la voglia di ricominciare da capo, costruirsi una nuova esistenza.

Durante tutto il film sia Bruce che Selina Kyle (Catwoman) – quest’ultima alla continua ricerca dello “smacchiatore”, un software in grado di cancellare ogni traccia di un individuo da tutti i database – lottano disperatamente al fine di conquistarsi la pace dell’anonimato, il diritto di lasciarsi tutto alle spalle per condurre una vita “normale”.

Proprio questa umanità, forse, rende Batman il supereroe più amato dagli spettatori. L’unico a non avere poteri speciali ma solo l’aiuto di una potente tecnologia, ideata dallo scienziato/inventore Lucius Fox (Morgan Freeman), che stavolta fornisce al difensore di Gotham City una moto super attrezzata e il mitico batwing. Dopotutto, come recita lo stesso Bruce Wayne << l’idea era di essere un simbolo: Batman poteva essere chiunque >>.

Come sempre Nolan fa emergere l’anima dei suoi personaggi, intensa e complessa, che riesce addirittura ad affiorare al di sopra delle incalzanti scene d’azione che non concedono mai un attimo di pausa, nonostante i 165 minuti di durata.

Il tormento dei suoi protagonisti sembra richiamato anche dai toni scuri della fotografia, caratteristica frequente del regista, come a voler dipingere un mondo tetro e segnato dal dolore, ma a cui lascia sempre una speranza. Il che ci conduce al secondo tema del film: proprio sulla speranza fa leva Bane, gettando fumo negli occhi agli abitanti di Gotham City, illudendoli di essere i veri padroni della città, portando invece scompiglio e distruzione: << lascerò che credano di poter sopravvivere. Li vedrai arrampicarsi l’uno sull’altro per restare al sole >> .

Una questione più che attuale, che ricorda forse la politica di molti governi e società del nostro mondo, che incantano i cittadini con vane promesse e false speranze. Un vasto numero di Gotham City da cui nascono figure come James Holmes, il venticinquenne americano che lo scorso 20 luglio, mascherato da Joker (la nemesi di Batman), ha ucciso 12 persone ferendone altre 58 in una sparatoria alla prima del film di Nolan in Colorado, non lontano dal luogo della famosa strage di Columbine.

Un altro debutto macchiato di sangue per Batman, dopo la morte dell’attore Heath Ledger, protagonista del precedente Cavaliere Oscuro, proprio nel ruolo di Joker. Nonostante tutto (o proprio grazie a questa sorta di macabra pubblicità), questi fatti non hanno limitato il suo successo nei cinema di tutto il mondo, esordendo in Italia in 363 sale, con un incasso stratosferico di 1.34 milioni di euro solamente nel primo giorno.



Pubblicato il 3 settembre 2012 su Ghigliottina.it

10 agosto 2012

Nicolini e la cultura come liberazione


Nei giorni scorsi abbiamo assistito alla triste scomparsa di Renato Nicolini, architetto, drammaturgo, e politico romano.  Molto apprezzato dalla gente proprio in quest’ultima veste, da assessore alla cultura della capitale nel periodo 1976-1985, quando creò ed istituì la famosa Estate Romana, una rassegna di eventi volta a valorizzare la cultura presente nella città di Roma, soprattutto all’indirizzo del pubblico meno abbiente.

Erano gli anni di piombo, fatti di violenze di piazza, di terrorismo, di stragi da quella di Piazza Fontana fino a quella di Piazza Bologna, contandone quasi una all’anno; passando per l’omicidio Pasolini e il sequestro Moro. Un periodo duro per la popolazione, in cui Nicolini riuscì, tramite l’istituzione di questa manifestazione nel 1977, a far superare la paura di scendere nuovamente per le strade, di continuare con la vita di sempre, oltre che di uscire dall’emarginazione della periferia.

Molte polemiche scaturirono a questo proposito e riguardo alla “massificazione” della cultura, ma l’intuizione di Nicolini negli anni si è rivelata esatta ed ancora oggi i romani e non solo possono assistere a questa grande ed importante iniziativa. Anche se in realtà è molto mutato, in questi 35 anni di Estate Romana il modo di fruizione da parte del pubblico; dal principio, per lo spirito in cui è nata e per il particolare periodo sociale e politico già accennato, risultava molto più visibile la partecipazione della gente, che "interagiva" con il tessuto artistico e culturale della sua città. Oggi forse, dopo tutto questo tempo, si è perso un po’ il significato di tutto ciò, la sensazione dell’"evento"; l’offerta è così ampia e variegata che la popolazione più che prenderne parte sembra "subirla", senza forse goderne appieno.

Nonostante questo, l’impegno di Nicolini (classe 1942) viene ricordato con affetto, e lui stesso rimane molto amato e stimato sia dai colleghi politici delle varie fazioni, che dalla gente comune per la quale era semplicemente “Renato”.
Un personaggio eclettico, Nicolini si è sempre occupato di molte e variegate battaglie, da quelle prettamente socio-culturali come le biblioteche comunali e la già citata Estate Romana, ai seminari sul nord Africa alla Casa delle donne, fino alla sua ultima lotta contro il progetto della discarica accanto a Villa Adriana. A tutto ciò va sommato il suo ruolo di professore universitario e di deputato del Pci e del Pds. Un rivoluzionario, un artista e un visionario. Insomma, un uomo difficile da descrivere in poche righe, che va però ricordato per tutto ciò che ha rappresentato per Roma e non solo.

In progetto, l’istituzione di un archivio a lui dedicato.




Pubblicato il 15 agosto 2012 su Jumma Magazine

5 agosto 2012

Macine e la riscoperta dei vecchi cinematografi romani


La chiusura e l’abbandono delle storiche monosala romane è un fenomeno che si sta facendo strada ormai da una quindicina d’anni, un segnale di abbrutimento culturale, ma soprattutto di crisi, che spazza via quel poco che è rimasto della grande cinematografia italiana del secolo scorso. Perché anche le sale, spesso, hanno dato spunto alle sceneggiature di importanti registi, punto di partenza di storie che ci hanno incantato e continuano a farlo ancora oggi. Sono lontani i tempi di Nuovo Cinema Paradiso, in cui il cinematografo era un luogo di riunione, un punto di riferimento per gli abitanti di un intero paese o quartiere.

Si guarda ormai al guadagno più che alla qualità e solo le multisala con il loro bagaglio commerciale (a volte improponibile per la scarsità di idee, che del resto contraddistingue l’attuale generazione) riescono a restare a galla in questo periodo di lotta per la “sopravvivenza” economica. In questo contesto, dal 2011, si inserisce Macine – festival del cinema chiuso. Nato in controtendenza rispetto ai maggiori festival cinematografici, soprattutto quello della capitale, Macine si occupa del tema della riqualificazione e gestione degli spazi culturali romani. Tra le numerose iniziative (con cui si autofinanzia) è anche composto da un gruppo di artisti che mediante l’elaborazione di manifesti e programmazioni simulate di spettacoli, cerca di ridare vita alle facciate dei cinema dismessi o abbandonati, tentando di sensibilizzare i cittadini sulla questione, come si può leggere sul loro blog:

“Il Manifesto è stato scelto come medium per il suo rimando storico alle classiche locandine degli spettacoli ma anche per il suo valore fortemente simbolico. La pubblica affissione è una dichiarazione, già fortemente utilizzata dalle avanguardie artistiche, della volontà di creare o rinnovare linguaggi e territori cittadini.

Gli artisti di Macine si uniscono alla “lotta” che ha visto la riapertura di alcune vecchie sale, negli ultimi anni, mediante azioni più o meno lecite da parte dei cittadini. Inoltre il loro blog mantiene, anche con l’ausilio di una mappatura, un costante aggiornamento delle condizioni degli altri locali (sedi di questo “festival” fittizio e simbolico): dalle trasformazioni in sale bingo o magazzini, all’occupazione e “liberazione”.

Vicende come quelle del Cinema Imperio, che ha visto l’attuazione, da parte degli abitanti di Tor Pignattara, di una raccolta di firme per riqualificarlo come polo culturale. O del Cinema Palazzo, costruito nel 1939 nel quartiere di San Lorenzo e ospite inizialmente degli spettacoli d’avanguardia di Macario e Totò, poi divenuto sala cinematografica ed infine chiuso e riaperto per molti anni come sede dell’Accademia del Biliardo. Ora, dopo un lungo periodo di ulteriore abbandono prima, e di occupazioni poi, ha ripreso ad essere una sede culturale multifunzionale, anche con l’aiuto e l’impegno di personalità come Sabina Guzzanti, Elio Germano ed altri attori italiani.

Segnali forti, da parte della collettività, che sente nuovamente il bisogno di un legame stretto con l’arte e la cultura e per cui il gruppo di Macine lavora affinchè questo legame non vada perduto.




Questo articolo è stato pubblicato il 4 agosto 2012 su Jumma Magazine



3 luglio 2012

Recensione "La fine è il mio inizio"

LA FINE E' IL MIO INIZIO


Un film di Jo Baier.
Con: Bruno Ganz, Elio Germano, Erika Pluhar, 
Andrea Osvart, Nicolò Fitz-William Lay.
Drammatico,  durata 98 min. –  Germania/Italia 2011.


Trama

Il grande giornalista e scrittore Tiziano Terzani sta ormai morendo, ed i suoi familiari si riuniscono attorno a lui; specialmente il figlio Folco, con il quale decide di ripercorrere la sua intera appassionante vita in un libro intitolato La fine è il mio inizio.

Note e commenti

Un film senza dubbio introspettivo, in cui Terzani richiama il figlio Folco da New York per intavolare con lui un lungo dialogo a cuore aperto, pieno di confessioni, ricordi, stati d’animo, sensazioni di ogni tipo suscitate dal ripercorrere tutta la sua esistenza con la massima onestà.
Le sue esperienze come giornalista, come essere umano, nei suoi viaggi come corrispondente in Asia, Cina in particolare, i suoi periodi di isolamento e crescita spirituale sull’Himalaya, tutto raccontato con emozione, con nostalgia, con rabbia e disappunto nei confronti della specie umana a causa delle guerre a cui ha assistito; ma anche con la naturalezza che contraddistingueva Terzani.
Così anche il suo prepararsi alla morte imminente a causa del cancro; il giornalista ha voluto riunire a sé i suoi figli, lì a Orsigna, nella sua terra natale che è la Toscana, anche per rassicurarli, per fargli comprendere la sua assoluta tranquillità nei confronti di ciò che lui vede solo come un passaggio, come l’inizio di qualcos’altro. Ed è così che fra riflessioni e sane risate, questa esperienza porta anche alla risoluzione di vecchie tensioni tra padre e figlio; e quest’ultimo, dopo l’iniziale sconvolgimento causato dalla malattia del padre, inizia a comprenderne il punto di vista e a conoscere più a fondo il proprio genitore, le sue scelte, il suo essere, registrando tutto con la massima accuratezza. Alla fine, seguendo le volontà del padre, Folco spargerà le sue ceneri al vento tra i monti della Toscana e pubblicherà il libro dal quale è tratto questo film.
Un lungometraggio particolare, che si differenzia per il modo in cui è girato, preferendo muoversi con delicatezza tra sguardi e silenzi, toccando corde profonde dell’animo umano, piuttosto che abbandonarsi al puro intrattenimento delle grandi produzioni.
Vere e colme di bravura le interpretazioni di Elio Germano e soprattutto di Bruno Ganz nei panni dei protagonisti, che riescono a cogliere tutta l’essenza dei loro personaggi e a trasmettere appieno ciò che avevano da comunicare.


Curiosità

Folco Terzani ha diretto la stesura della sceneggiatura che riprende con precisione i dialoghi principali del libro, ma che si differenzia da questo per alcune aggiunte relative a delle scene tra lui ed il padre: il litigio tra i due, la ripresa della colostomia sul corpo di Terzani, la sosta in paese, la telefonata tra l’editore del libro e Folco, i dialoghi tra quest’ultimo e la madre Angela, la scena in cui Tiziano dà da mangiare ai corvi.

Le poche comparse che appaiono nel film sono tutti membri reali della comunità di Orsigna.

La colonna sonora è di Ludovico Einaudi, composta da suoi brani passati e quindi non originali.


La frase

Io sono stato tante cose, ma alla fine non sono nessuno.



17 giugno 2012

Recensione "Midnight in Paris"

MIDNIGHT IN PARIS


Un film di Woody Allen.
Con: Owen Wilson, Rachel McAdams, Michael Sheen, 
Nina Arianda, Kurt Fuller.
Commedia,  durata 94 min. – USA/Spagna  2011.
Quattro candidature agli Oscar 2012 in cui ha vinto quella per 
la migliore sceneggiatura originale; altre tre candidature ed 
una vittoria sempre per la migliore sceneggiatura ai Golden Globes 2012; 
numerosissime altre candidature a festival e cerimonie di tutto il mondo, 
tra cui “miglior film extraeuropeo” ai Nastri d’Argento 2012.


Trama

Gil è uno sceneggiatore ed aspirante scrittore americano. Nel corso di una vacanza a Parigi con la futura sposa Inez e gli invadenti genitori di lei, si imbatte per caso in un evento “magico” che lo porta indietro negli anni Venti. Estasiato e affascinato dalla compagnia dei più grandi e artisti dell’epoca, cercherà di fare in modo di ripetere l’esperienza tutte le notti, suscitando le perplessità del futuro suocero.

Note e commenti

Di nuovo uno sceneggiatore hollywoodiano ed aspirante scrittore, di nuovo l’amore sconfinato per una città. Da Manhattan si passa stavolta a Parigi, in cui Allen riversa tutta la sua fascinazione per una delle località che più adora, e lo fa attraverso la divertente e genuina interpretazione di Owen Wilson, oltre ad inquadrature e panoramiche da sogno.
Midnight in Paris è costellato di citazioni, a partire dai numerosissimi personaggi che popolano la Parigi anni Venti, quali Fitzgerald e la moglie Zelda, Hemingway, Gertrude Stein, Dalì, Picasso, fino a Bunũel, per citarne alcuni; ma riprende anche storia e situazioni dell’epoca, reinventate per trasmettere consigli di vita al protagonista Gil, che insoddisfatto del suo presente si rifugia in questo mondo magico ambientato nel suo periodo favorito, che guarda con occhi ammirati definendolo il periodo “d’oro”.
E’ proprio qui che il film vuole tentare di trasmettere un messaggio: di non guardare con nostalgia al passato, che ci sembra migliore solamente perché non l’abbiamo vissuto, ma in realtà in ogni epoca, in ogni “presente” c’è la stessa insoddisfazione; e si dovrebbe tentare di trovare nel proprio presente una ragione di vita, senza sprecare la propria esistenza sognandola solamente invece di  viverla.
Anche Gil infatti, grazie all’incontro con i suoi miti e con Adriana, che si fermerà alla Belle Epoque (il suo periodo storico preferito), cambia modo di vedere le cose e decide di sistemare la sua vita lì, nell’epoca che gli appartiene.


Curiosità

Anche se di produzione spagnola e statunitense, il film è stato girato interamente in Francia, soprattutto nella città di Parigi.

Uscito nelle sale italiane il 2 dicembre 2011, Midnight in Paris ha ottenuto l’incasso d’esordio più elevato in Italia tra i film di Allen, raggiungendo la cifra di 2.203.671 euro in appena tre giorni.

 
Woody Allen in 5 titoli:

-      Il dittatore dello stato libero di Bananas (1971)
-       Io e Annie (1977)
-       La rosa purpurea del Cairo (1985)
-       Tutti dicono I love you (1996)
-      Match point (2005)





14 giugno 2012

Da Griffith a Lee, o i neri visti da Hollywood

Come ha influito "La nascita di una nazione" nella rappresentazione degli afroamericani.



David Lewelyn Wark Griffith nasce a La Grange, in Texas, nel 1875. Figlio del colonnello Jacob "Roaring Jake" Griffith che ha combattuto nell’esercito confederato durante la guerra di secessione americana (1861-65), egli cresce con i racconti mitici della guerra e con una rigida educazione protestante. Tutto ciò, ovviamente, contribuisce a formare la sua personalità, fortemente caratterizzata da una chiusura mentale che porta al pregiudizio e al razzismo; mentalità, tra l’altro, che riflette quella degli stati sudisti dell’epoca.

Griffith trasferisce questa sua visione del mondo anche nei suoi film, tra cui spicca per l’appunto il celeberrimo La nascita di una nazione (The Birth of a Nation, 1915), ambientato durante la guerra di secessione americana ed ispirato principalmente al romanzo di Thomas Dixon Jr. [1] The Clansman (1905) ed in misura minore a The Leopard’s Spots (dello stesso autore, 1902) di cui egli sembra accettare l’ideologia senza preoccuparsi della veridicità storica dei fatti narrati nei testi.

La nascita di una nazione descrive nella prima parte le vicende di due famiglie, una del Nord (in Pennsylvania) e l’altra del Sud (nel South Carolina), durante la suddetta guerra, fino alla vittoria degli stati dell’Unione guidati dal generale Grant [2]; nella seconda parte, si assiste al dominio del Sud da parte di affaristi del Nord e degli schiavi neri liberati, dipinti come violenti ed ignoranti, che creano l’anarchia con prepotenze verso i bianchi ed insediandosi in Parlamento; il finale del film, infine, mostra la "liberazione" del paese da parte del Ku Klux Klan [3] che finalmente ristabilisce l’ordine, creando una sorta di giustificazione storica della segregazione razziale e dei numerosi episodi di linciaggio a danno di neri.

Il film, proiettato per la prima volta al Clune’s Auditorium di Los Angeles con il titolo The Clansman e in seguito a New York con il titolo attuale, suscita comprensibilmente molte polemiche e critiche da parte di numerose riviste, giornali, associazioni (in particolare la NAACP : National Association for the Advancement of Colored People [4]), e persino delle rivolte, tanto che viene bandito in moltissime città americane ed europee perché tacciato di razzismo e colpevole di creare odio tra le razze; inoltre viene accusato di aver agevolato la rinascita del Ku Klux Klan, che riprese vigore dopo l’uscita del film.

Ovviamente, oltre alla questione del KKK, tra i punti critici di quest’opera vi è il fatto di dipingere gli afroamericani in termini completamente distanti dalla realtà, ossia come stupidi, zotici ballerini di tip-tap, o brutali approfittatori, la cui massima aspirazione è possedere le donne bianche arrivando anche allo stupro. Questi stereotipi rientrano nella classificazione stilata da Donald Bogle nel suo libro Toms, Coons, Mulattoes, Mammies and Bucks (1973) [5], che appunto suddivide in precise categorie le rappresentazioni dei neri a Hollywood, presenti sin dagli albori del cinema.

5 giugno 2012

Di nuovo al cinema con i fratelli Blues!


L'altro giorno ero a passeggio per Roma, davanti al cinema Madison e cosa vedo? Una locandina che annunciava il ritorno sul grande schermo di un vero cult del 1980: The Blues Brothers!
Sono nata nel 1986 e purtroppo non ho avuto modo di assistere la prima volta, ma di certo non mi farò scappare l'occasione di ammirare in sala il mitico film di John Landis, dopo averlo tante volte visto in televisione e in dvd. Perchè si sa.. al cinema è tutta un'altra cosa!
Grazie alla procedura di restauro che stanno subendo diverse pellicole negli ultimi anni (tanto per citarne alcune: Frankenstein Jr e Ritorno al futuro), e alla diffusione ad opera della Nexo Digital, a 30 anni dalla scomparsa del compianto John Belushi anche The Blues Brothers tornerà nei cinema (ahimè solo per due giorni) il 20 e 21 di questo mese.
Non possiamo perdercelo, nemmeno per un'invasione di cavallette!!



http://www.nexodigital.it/1/id_257/The-Blues-Brothers---Ritorna-al-Cinema.asp





1 giugno 2012

Recensione "This must be the place"


THIS MUST BE THE PLACE


Un film di Paolo Sorrentino.
Con: Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, 
Harry Dean Stanton, Joyce Van Patten, Judd Hirsch.
Dramma/commedia,  durata 118 min. –  Italia/Francia/Irlanda 2011.
Premio ecumenico al Festival di Cannes nel 2011; pluripremiato ai 
David di Donatello 2012 per la migliore sceneggiatura, migliore fotografia, 
miglior trucco, migliori acconciature, miglior colonna sonora (a David Byrne) 
e miglior canzone; oltre a numerose altre candidature.


Trama

Cheyenne è una rock star. Leader del gruppo Cheyenne & The Fellows, attivi negli anni ’80, nonostante i suoi cinquant’anni ed il suo ritiro dalle scene continua a travestirsi e truccarsi come quando saliva sul palco. Ansioso e depresso, vive una vita agiata e priva di stimoli a Dublino con la moglie Jane. Ma la morte del padre, con cui non aveva contatti da diversi anni per via del suo stile di vita, lo spinge a tornare a New York dove scopre che il genitore stava tentando di rintracciare da diverso tempo l’ufficiale nazista che lo aveva umiliato durante il suo internamento in un campo di prigionia. Cheyenne decide così di continuare la ricerca del padre.

Note e commenti

Uno sguardo annoiato, un po’ assonnato, una chioma nera sparata in aria alla bell’e meglio e una risatina stridula accompagnano l’intero film in un incontro tra ironia ed esistenzialismo, tra una vita pacata e una (solo apparentemente) modesta avventura. È qui che si trova Cheyenne, in una specie di limbo tra un passato da rock star e un futuro che non ha ancora deciso come trascorrere, forse tormentato dalla paura d’invecchiare; e nel frattempo si aggira carico di noia per tutta Dublino talvolta insieme all’instancabile e premurosa moglie Jane, o più spesso con la sua giovane amica e fan Mary, che copia il suo look ed il suo sciatto e noncurante modo di vivere.
Arrivato in America, Cheyenne si imbatte nei personaggi più stravaganti: un singolare uomo d’affari, un’anziana insegnante di storia moglie dell’ufficiale nazista, la nipote dello stesso ufficiale che vive sola con il figlio, l’inventore delle valigie con le rotelle, l’ebreo esperto “scovatore” di nazisti che lo aiuterà nel suo intento, ed in infine anche David Byrne. Un viaggio e degli incontri che daranno finalmente una parvenza di movimento al suo piatto stile di vita; una sorta di percorso di crescita per questo eterno ragazzo che si trova più a suo agio con i fans adolescenti.
Sean Penn nei panni del protagonista è una figura particolare, carica di dolcezza e fragilità, che risulta simpatica già alla sua prima apparizione grazie soprattutto al contrasto tra l’eccentricità del suo aspetto e le movenze stanche abbinate ad una vocina sottile. Così anche le sue ansie ed il suo continuo fare battute nonostante una depressione cronica che le rende impossibile essere divertenti, ma proprio per questo strappano al pubblico più di un sorriso.
Sempre con bagaglio alla mano, o con un peso qualsiasi,  oltre a quelli che si porta appresso dentro di sé. Una rockstar decadente, ma un personaggio indimenticabile che Penn interpreta magistralmente, diretto da un Sorrentino come al solito singolare ma pieno di talento, intimista e ironico, e sempre accompagnato da buona musica.
Nonostante una narrazione un po’ disgregata è un film riuscito, che lascia nello spettatore una piacevole sensazione di leggerezza e di buonumore.

Cineforum "Decima Cinema"


Vorrei iniziare questo blog parlando di una bella iniziativa che abbiamo deciso di intraprendere con i miei amici dell'associazione A.C.A.P.E., con cui collaboro per il cineforum al Centro Culturale Aurora (a Roma). Abbiamo deciso di donare l'incasso del primo film alle zone terremotate dell'Emilia Romagna. Non sarà moltissimo (ricordo che il contributo è a libera sottoscrizione), ma quel "poco" ci piacerebbe farlo avere a chi in questo momento ne ha molto più bisogno. Con l'occasione posto il programma della rassegna, sperando che qualcun'altro decida di aderire e di compiere nello stesso tempo un bel gesto di generosità.






01/06   THIS MUST BE THE PLACE (di Paolo sorrentino, 2011)

08/06   SCIALLA (di Francesco Bruni, 2011)

15/06   MIDNIGHT IN PARIS (di Woody Allen, 2011)

23/06   LA FINE è IL MIO INIZIO (di Jo Baier, 2011)

28/06   LA GRANDE SEDUZIONE (di Jean-François Pouliot, 2003)


"Centro Culturale Aurora" Piazza Otello Boccherini, 25 - 00144 Roma
(inizio proiezioni ore 21,00)



29 maggio 2012

Welcome

Benvenuti cultori del cinema o semplici visitatori.

L’intento di questo blog è puramente culturale: il tema principale sarà ovviamente la cinematografia in vari suoi aspetti, che tenterò di delineare attraverso pensieri, riflessioni, storia, monografie, temi specifici, recensioni, e via dicendo.

Lo scopo è (con poche pretese) semplicemente quello di costruire un luogo in cui diffondere il verbo cinematografico e creare, se si vuole, qualche discussione interessante.

Siete liberi di andare e venire come volete e apportare il vostro bagaglio culturale, o qualsiasi cosa abbiate in mente di esprimere (ovviamente nei limiti della decenza, dell’educazione e del rispetto reciproco).

Mi chiamo Giorgia e voi siete i benvenuti nel mio piccolo spazio virtuale.